Autor: giorgiodieffe
domingo, 12 de marzo de 2006
Sección: Lenguas
Información publicada por: giorgiodieffe
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TOUTA TOUTO TEUTO TOTA
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(articolo in corso di traduzione in lingua spagnola)
Esiste una parola, in molte lingue europee antiche, che non va trascurata, se vogliamo comprendere le società che la usarono.
Essa si trova espressa con varie pronunce e vari significati (affini), a seconda che la società che la utilizzò fosse già strutturata su un sistema “cittadino” (mutuato, per imitazione, dalla “polis” greca) o non lo fosse ancora.
Comunque sia, la medesima parola si riferì sempre a un’entità sociale “supertribale”: un insieme coeso di cellule sociali inferiori.
IL “TOUTO” PRESSO IL POPOLO ITALICO DEI SANNITI
Nell’Italia antica, il forte popolo dei Sanniti (parlante una lingua italica del gruppo Osco-Umbro-Sabello-Sannitico, affine al latino, ma anche cugina delle lingue del gruppo celtico) si strutturava su più livelli.
La società sannita (come ricostruita da Adriano LA REGINA, nel 1970), infatti, era assai articolata:
1) lo Stato sannitico era una lega di tipo federale (non strutturata su città-stato, ma piuttosto sull’organizzazione delle campagne in distretti rurali): una federazione di parti politico-etniche, dette “Touti”. Non esisteva una capitale federale: le riunioni politiche federali avvenivano in città scelte di volta in volta. Solo in caso di guerra, i capi supremi dei “Touti”, riuniti, sceglievano tra loro un comandante supremo.
2) I Sanniti annoverarono quattro “Touti” fondamentali, quello dei “Pentri”, dei “Carricini”, degli “Irpini” e dei “Caudini”, che, in seguito, furono ampliati con l'annessione dei “Frentani”.
Ciascun “Touto” aveva una località sacra, che fungeva da “centro amministrativo”, dove si tenevano le adunanze sia religiose, che politiche, ma che non svolgeva le vere funzioni di “capitale”.
Quindi, ogni “Touto”, nel quale esisteva un consiglio ed un'assemblea, era una repubblica e non un regno. Se mai vi furono “re”, tra i Sanniti, dovette essere in epoca antichissima.
A capo del “Touto” era, infatti, il “meddix tùvtiks” (meddix=iudex), democraticamente eletto, affiancato da altri alti magistrati, come il “kenzsur” (caensor) e il “meddix atikos”, che sovrintendeva alle entrate fiscali.
I magistrati erano criticabili in assemblea, come in ogni vera democrazia.
3) Ogni “Touto” era diviso in tanti distretti, chiamati ognuno “Pago” (da una radice IE *pak- = “insediarsi”).
4) All’interno di ogni “Pago”, esistevano tanti piccoli insediamenti di pianura, detti ognuno “Viko”. Nel maggiore, esistevano i luoghi sacri comuni (situati nella parte più alta: l’Arx). Ad esempio, nel Touto dei Pentri esisteva il “Pago aeserniatis” e il suo centro principale si chiamava “Aesernia”.
5) Ma all’interno di ogni “Pago”, esistevano anche insediamenti in altura, detti ognuno “Oppedon”. I medesimi, dalla metà del IV secolo a.C., erano tutti cinti da mura poligonali e svolgevano la funzione di controllo territoriale. In genere, venivano abitati e deputati a raccogliere gli armenti solo in caso di guerra. Sul finire del V secolo avanti Cristo, i giovani erano istruiti all’arte militare e inquadrati in vere e proprie istituzioni guerriere dette “Verehia” o “Verreia” (“vero”= porta).
Alcuni sostengono che i Sanniti non avessero entità tribali. A mio parere, invece, la loro società era assolutamente fondata sull’elemento etnico, fin nei suoi elementi fondamentali. Probabilmente, chi dice il contrario ha in mente la suddivisione romana in “tribù”, che è tardiva ed, anzi, sta a dimostrare che anche i Romani, alle origini, avessero conosciuto benissimo la realtà tribale.
Bibliografia:
Davide MONACO, I Sanniti - Il governo dei Sanniti , Isernia 2003 (in Internet: www.sanniti.info)
ALTRI POPOLI ITALICI CENTRO-MERIDIONALI
1) OSCI
Tra i popoli parlanti lingue del gruppo Osco-Umbro-Sabello-Sannita emergono anche gli Osci. Il mondo osco, però, era diviso in una parte settentrionale e una meridionale.
Nella sezione settentrionale, protesa verso il mar Tirreno, esistevano (pseudo) città-stato: quindi, l’unità politica non si identificava più con quella etnica. Ciò, però, era chiaramente frutto di evoluzione.
Al contrario, il mondo osco della sezione territoriale appenninica o quello proteso verso il mar Adriatico manteneva una struttura che s’indentificava con l’ethnos. Quindi:
a) era presente il concetto di lega federale
b) era conosciuta la divisione in aree politico-etniche dette, ognuna, “Touta”, a capo di caduna delle quali era posto un magistrato, detto “Meddìs” ( e chiamato “Praetor” nelle fonti romane).
La “Touta” è contemporaneamente “terra e sangue”: esiste solo in diretta connessione con l’ethnos.
Famosa è la “Touta Marouca” (reso in latino con “Civitas Marrucina”), le istituzioni interne della quale si riunivano nell’insediamento detto Teate (ora, Chieti).
A dimostrazione del fatto che non si trattasse di città stato, si deve citare il fatto che le fonti romane (es. Livio) parlino di “Praetor marrucinus” e mai di “Praetor teatinus”.
La “Civitas Marrucina” è citata per la prima volta nella storia come facente parte di una confederazione contro cui i Romani entrarono in conflitto durante la Seconda guerra sannita, ca. 325 AC e che alla fine di questa guerra strinse un'alleanza con i Roma come unità separata.
Conosciamo qualcosa della lingua dei Marrucini da un'iscrizione conosciuta come “Tabula Rapinensis” o "Bronzo di Rapino", che appartiene a circa la metà del III secolo AC e che si trova in Russia (Museo Puskin di Mosca; preda bellica asportata dalla Germania nazista, in quanto prima si trovava a Berlino presso l’ Antikenmuseum). L'iscrizione è in alfabeto latino, ma in un dialetto che appartiene al gruppo Osco settentrionale. Essa parla anche dell’esistenza di una “arx Tarincra”.
Bibliografia:
E. CAMPANILE, "Per la semantica di osco meddís", in "La tavola di Agnone nel contesto italico - Lingua, storia, archeologia dei Sanniti" - Convegno di studio - Agnone 13-15 Aprile 1994.
CONWAY, R. S, JOHNSON, S.E., e WHATMOUGH, J. (a cura di), The Prae-Italic Dialects of Italy, London 1933.
PISANI Vittore, Le lingue dell'Italia antica oltre il latino, Torino 1964.
2) I CAMPANI
Un altro popolo italico che doveva conoscere l’istituto del “Touto/Touta” erano i Campani, che risiedevano nella zona di Capua e che secondo alcuni storici antici erano di cultura assai simile a quella dei vicini Sanniti.
Una dimostrazione indiretta è data dal fatto che le fonti romane (Livio, 23,7,8), parlando del loro “Praetor”, lo definiscono “Praetor campanus” e non “Praetor capuanus” (quindi, non “di una città-stato”, ma di un “territorio etnico”).
3) GLI UMBRI
Presso gli Umbri, popolo italico parlante una lingua del gruppo Osco-Umbro-Sabello-Sannita, esisteva la parola “Tota/Tuta”, che i latini tradussero con “civitas” e, poi, con “urbs”.
Il popolo Umbro era diviso al suo interno in “Tri´fu/Trifo”.
4) SABINI
Anche i Sabini conoscevano il termine “Touta”, con lo stesso significato di “civitas/urbs”.
5) ETRUSCHI
Pur non essendo un popolo italico IE, gli Etruschi possedevano la parola “tuti-”, nel significato di “territorio statale-etnico”.
Bibliografia
M. PALLOTTINO, Etruscologia 8, Milano 1992, p. 516.
Osvaldo SACCHI, (Prof. Presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Napoli), Spunti per un’archeologia giuridica del linguaggio, suggestioni ancestralie terminologia giuridica nella “Lustratio agri” in “Cato. De agric. 141”.
6) ROMANI
Si sente spesso erroneamente dire che i Romani non avrebbero conosciuto assolutamente nulla di simile alle parole precitate. Errore rosso fuoco.
Come ha dimostrato Francisco VILLAR, in latino “Tota” era il termine per definire il “popolo di Roma”. Logicamente, trattandosi di una città-stato, non era più intesa (tranne che nei primissimi tempi) come “territorio statale-etnico”.
Il popolo romano, come tutti sappiamo era diviso al proprio interno in varie “tribus”, che assunsero, però, gradualmente, un significato differente dall’originario.
Bibliografia
F. VILLAR, Gli indoeuropei e le origini d’Europa. Lingua e storia, p. 161.
7) VENETI
In alcune stele in lingua venetica, sono comparsi nomi inizianti con “Teut-/Teuta-”, che parrebbero nomi propri personali.
Bibliografia
James M. ANDERSON, University of Calgary, Canada, On the decipherment of ancient Iberian, in “Neophilologus”, Springer Netherlands, Volume 62, Number 1, January 1978, pp. 80 - 85
POPOLI INDOEUROPEI “NON ITALICI”
1) GALLI CISALPINI
Anche tra i Galli cisalpini era conosciuta la “Touta” come “territorio statale-etnico”. Famosissima è, in proposito, l’iscrizione nella quale si legge “Takos Toutas”.
La medesima fu trovata a Briona, in provincia di Novara (Piemonte orientale), su un resto di edificio del III/II secolo a.C.
Buscar en google: "Einführung in das Kontinentalkeltische, SS 2002" si quereis ver la lapida.
l’interpretazione delle parole “Takos Toutas” è stata diversa, da studioso a studioso.
Secondo il Mag. David STIFTER (cfr. Einführung in das Kontinentalkeltische, SS 2002), si dovrebbe intendere come: “su incarico del popolo”.
Secondo altri, come V. KRUTA e V.M. MANFREDI (cfr. I Celti in Italia. Storia di un popolo, Milano 1999, p.30), il “Takos Toutas” sarebbe stato un magistrato di quella “Touta”, dalle ancora misteriose funzioni.
All’interno, le varie “Touta” dovevano essere suddivise in tante “Treba” (da una radice IE *trb- = “casa”). Se la “Touta” era una entità etnico-statale superiore, che si poteva federare con altre, la “Treba” doveva essere una unità tribale minima, che si richiamava a antenati comuni meno mitici di quelli della “Touta”.
La presenza della “Treba” gallica tra i Cisalpini, d’altronde, è confermata dagli autori latini, che usano per definirla la parola più simile esistente nella loro lingua, cioè “tribus”, ben sapendo che ormai, a Roma, essa significa tuttaltro.
Ad esempio, parlando dei Galli Boi, lo scrittore Plinio (che è egli stesso d’origine celtica), scrive: “In hoc tractu interierunt Boi, quorum tribus CXII fuisse auctor est Cato” (Plin., III, 116).
Esistevano nella Gallia Cisalpina villaggi di piccole dimensioni, non circondati da mura e pochi “Dunum”, che i Romani chiamarono “Oppidum” (centri fortificati, in genere, d’altura).
Bibliografia:
Alessando MORANDI, Epigraphia Italica, Roma 1982, S. 192 sg.
2) GALLI TRANSALPINI
In Gallia Transalpina, è attestata la conoscenza della parola “Touta” e di “Treba”, con i medesimi significati della Cisalpina.
Un dio, infatti, si chiama “Teutates/Toutatis”, che è senz’altro il “padre della Touta”.
(Cfr. sul punto A. BRELICH, Quirinus. Una divinità romana alla luce della comparazione storica, in S. M. S. R. 31 (1960) 114 e nt. 80).
Troviamo anche un appellativo “Toutiorix”, riferito ad Apollo, nella lapide di Wiesbaden (CIL XIII, 7564).
Interessanti, poi, seppure molto tardi, i documenti della Bretagna, che attestano la presenza di unità minime, il cui nome deriva certamente da “Treba”:
Lo attesta Pierre FLATRÈS, « Les divisions territoriales de Basse-Bretagne comparées à celles des contrées celtiques d'outre-mer », Annales de Bretagnes 1956, che lo crede, però, importato dalle isole britanniche :
« En Bretagne on retrouve le terme gallois et cornique (Tref) sous les formes diverses : "treb" en vieux bretons, "treff" en moyen-breton ( forme conservée fréquemment dans la toponymie écrite), "trev" ou "tre" en certains noms de lieux, "treo" en breton parlé moderne, "trève" en français de Bretagne ».
(…)
Ormai, però, si tratta di parole con significato evoluto, rispetto alle originali:
« En Bretagne, le mot 'treb, treff, treo, trève, a été employé, sous l'une ou l'autre des formes ci-dessus, en trois acceptations bien différentes.
Le breton moderne "treo" désigne une subdivision de la commune. Les "treo" sont souvent dénommées d'après une chapelle se trouvant sur leur territoire. Pour beaucoup de gens, il y a une "treo" par chapelle. Mais, en fait, certaines "treo" portent des noms de villages, d'autres ne possèdent pas de chapelles. Enfin, il y a toujours une "treo ar vorc'h", "treo" du bourg. En français, le mot "treo" est traduit" par trève, ou parfois "quartier". Lorsque la trève possède une chapelle, le pardon de cette chapelle est considéré comme une fête de toute la trève ; parfois on sonne aussi le glas à la chapelle pour les décès survenus dans la trève. Mais la principale fonction de la trève est, commeen Galles, de servir de cadre aux quètes ecclessiastiques ou autres. Enfin, si la trève bretonne n'a pas, comme il arrive en Galles de fonction agricole précise, elle constitue néanmoins une sorte d'unité rurale. Tel cultivateur, par exemple, sera fier de posséder la meilleure ferme de sa trève. Il nous parait certain, d'après la comparaison avec les faits gallois, que la trève bretonne, au sens du breton moderne "treo" remonte aux origines mêmes de la Bretagne. Les territoires queles anciens cartulaires désignent par "treb" ou "tribus", semblent bien être les ancêtres directs de nos "treo" actuelles.
Il faut se garder de confondre la "treo", trève, subdivision de paroisse, division territoriale rurale de base, que nous venons d'étudier, avec la trève ecclésiastique de l'ancien régime. Ce que les documents des XVIIème et XVIIIème siècles appellent "trève", c'est le territoire dépendant d'une église succursale, une sorte de "sous-paroisse", pourait-on dire. Beaucoup de ces trèves ecclessiastiques sont devenues paroisses et communes à la révolution ou dans le cours du XIXème siècle. Le rentier des dominicains de Morlaix, en 1663, distingue bien ces "trèves" : Locquirec, trève de Lanmeur, Carantec et Henvic, trèves de Taulé, des fréries ou frairies, portant des noms de villages, et qui sont nos "treo-trèves", au sens moderne du mot. Il est évident qu'une expression comme "treo ar vorc'h, n'aurait aucun sens si on donnait à "treo" le sens ancien de trève ecclessiastique
Enfin, comme en Galles et en Cornwall, le mot "trtef, tré" est très fréquent en toponymie bretonne. Dans ce cas, comme en Galles, le terme désigne simplement un habitat et non pas une cirsconscription ».
3) ILLIRICI
Si sono riscontrati numerosi nomi illirici, inizianti per “Taut-/Teut-”: es. Teutaplos, Tauta, Teutana, Teuticus, Teutaros.
Cfr. James M. ANDERSON, opera precitata.
Cfr. pure: http://www.geocities.com/protoillyrian/index.html
4) CELTI D’IRLANDA
Tra gli Irlandesi, esistevano formazioni sociali simili a quelle esaminate. Purtroppo, il riferimento che si può fare è solo al diritto irlandese registrato dal VI all’VIII secolo dopo Cristo, quindi, abbastanza tardivamente.
Anche qui troviamo un “Tuath” = gruppo etnico-statale e troviamo delle “Treb”= gruppo inferiore, a legame biologico/parentale-locale.
I “Thuata” irlandesi sono, comunque, gruppi piccoli, che non superano le 3000 persone.
Nei “Thuata”, esistevano gruppi di giovani atti alle armi, detti “Fianna” e corrispondenti ai Verreia dei Sanniti.
Con il termine “Trebad” si indicava la “sovranità domestica”.
Cfr. I vari lavori del Mag.Dr. Raimund KARL (MIFA), Department of History, The University of Bangor, Galles
Cfr. Pure l’opera di Pierre FLATRÈS, « Les divisions territoriales de Basse-Bretagne comparées à celles des contrées celtiques d'outre-mer », Annales de Bretagnes 1956 :
« En Irlande, le régime tribal avait eu pour conséquence de multiples subdivisions fractionnelles des divisions territoriales d'ordre inférieur, mais au moment de l'établissement des cartes de l'Ordnance Survey, vers 1840, les divisions de base furent unifiées sous le nom de "townland". Il existe 62205 towlands en Irlande ; leur superficie moyenne est de 148 hectares ».
5) CELTI DEL GALLES
Purtroppo per quanto riguarda il Galles, ci si può rifare solo al diritto locale, nella forma testimoniata nei secoli XII e XIII d.C.
Comunque, anche in questi casi, si trova la parola “Tud”, con il significato di “gruppo etnico” all’interno di un “Bro” = “Stato” e “Tref”, con il significato di “paese/villaggio/comunità di villaggio”, ma, ormai, solo più come “habitat” e non come “circoscrizione”
Cfr. Pure l’opera di Pierre FLATRÈS, « Les divisions territoriales de Basse-Bretagne comparées à celles des contrées celtiques d'outre-mer », Annales de Bretagnes 1956 :
« En Galles, la "tref" a une histoire assez compliquée. Sous l'ancien régime tribal, l'on distinguait des "tref" libres et des "tref" serves. Les premières semblent avoir été beaucoup plus vastes que les secondes qui couvraient tout au plus quelques dizaines hectares. A une époque plus récente, les "tref" appelées aussi "tre-ddegwm", "tref de dîmes", apparaissent comme des subdivisions des paroisses. Dans les communes où elles ont substité, elles ont servi jusqu'à nos jours de cadre pour les quêtes et pour certains aspects de la vie agricole : à Carno, par exemple (comté de Montgomery), les pâturages communs de montagnes sont divisés entre les trois "tref". Les "tref galloises semblent n'avoir jamais eu de lien avec le culte. Elles ont toujours porté des noms laïques, jamais de noms de saints.
Le mot "tref, tre" (formes mutées : dref ou dre) est assez fréquent en toponymie galloise, soit comme préfixe : Tretio, Tre-mynydd, par exemple à Saint David's, soit comme siffixe, dans les deux toponymes Hendre et Pentre, très répendus dans tout le pays de Galles. Dans tous ces termes, Tref désigne, non une circonscription, mais un habitat, village ou ferme. Il en est de même dans le terme Tréflan, la tref de l'église, qui dans le centre-Galles, désigne le bourg parroissial. Enfin Tref sert aussi à former les expressions désignant lefoyer, le home : "adref, gartref, cartref, etc.... ; et en Gallois littéraires actuel, désigne la ville ».
In verità, esisteva in epoca romana, in Britannia, anche una civitas degli “Atrebates”. Andrés PENA GRAÑA li interpreta come “adtributi”.
Invece, il “MacBain’s Dictionary” (http://futon.sfsu.edu/~jtm/jtm.html ) dice:
“aitreabh
a building, Irish aitreibh, Early Irish aittreb, Welsh adref, homewards, Gaulish Atrebates; *ad-treb-, the Celtic root treb corresponding to Latin tribus, English thorpe”.
Quindi, “Atrebates” potrebbe non significare affatto “adtributi” (attribuiti per conquista).
Ed anche “Contrebia” (citata sempre da Andrés PENA GRAÑA) potrebbe equivalere a “cantref/cartref” e non aver nulla a che fare con il termine latino “contributi” (contribuiti in una medesima unità politico-territoriale).
6) GLI INDIGENI DELLA “GALLAECIA”
Gli indigeni (identificati come “Celti” da una parte del mondo scientifico...non concordemente) della Galizia (ora, Spagna) furono anch’essi organizzati in “Toudo” e “Treba”.
Non mi dilungherò, qui, perché le attestazioni della presenza dei due termini sono fornite dai numerosi lavori di Andrés PENA GRAÑA esistenti in Celtiberia, ai quali vi rimetto completamente.
(in particolare, vedi: ORGANIZACIÓN SOCIAL DOS CELTAS DE GALLAECIA TERRITORIO POLÍTICO)
Neppure intendo entrare nella controversa teoria circa l’intronizzazione dei “reguli” galaici.
L’unica cosa che faccio notare è che, a mio parere, anche in tal caso si dovrebbe distinguere “Toudo” da “Treba”, con la prima parola esprimente una realtà politica maggiore, corrispondente alla parola latina “civitas”, quando applicata a “stranieri non Romani”.
Quindi, la “civitas” sarebbe l’intero popolo straniero e il territorio da esso controllato (area politico-etnica).
La “Treba”, invece, sarebbe una realtà interna al “Toudo”.
6) I GERMANI
Presso i popoli germanici, la situazione è simile? Forse, ma esistono dubbi in merito.
Certamente sappiamo che vi furono parole germaniche simili alle precedenti “Touto / Touta / Tota / Tuta / Touda / Thuat / Tud”, ma mentre quelle appena enunciate derivano da una radice * towtā, le parole germaniche derivano da un’altra radice simile, ma non identica: * þeudô.
Infatti, pensiamo al gotico “þiuda”, all’antico sassone “þiod(a)” ed all’ antico alto tedesco “diot(a)”, all’antico inglese “the'od”, all’antico nordico "thiod”.
Il loro significato è quello di “gruppo socio politico di appartenenza” (la maggior parte degli studiosi attualmente ritengono che si riferisca al gruppo socio-politico di appartenenza personale. Al contrario, io ritengo che si tratti del “gruppo socio-politico di appartenenza familiare”, non contando nulla l’individuo, se non all’interno della propria famiglia, per il diritto germanico).
Naturalmente, la società germanica delle origini non ebbe bisogno di insediamenti permanenti, non essendo ancora definitivamente stanziale. Di qui, si capisce una organizzazione della medesima più per gruppo parentale, che strettamente territoriale.
7) BALTICI
Anche nelle lingue baltiche si trovano termini simili ai precedenti, però, appaiono essere dei prestiti chiarissimi dalle lingue germaniche: infatti, è vero che in lituano esiste la parola “tauta” = “terra/popolo”, ma il suo antico significato fu, piuttosto quelo di “Occidente/Germania”. In lettone anche esiste “tauta”= “stirpe/terra”, ma, al plurale “tautas” significa “popolo straniero”. Anche in antico prussiano esistette un “tauto”, mutuato dalle lingue germaniche.
PROBLEMI ETIMOLOGICI
Da cosa derivano i termini “Touto/Touta/Tota/Tuta/Thuat/Toudo”, eccetera?
Abbiamo visto, che vengono dalla radice ricostruita * towtā.
Ma questa radice ha qualcosa in comune con * þeudô…cioè, quella da cui derivano le parole germaniche?
1°. Ipotesi (POKORNY 1959: 1084-5; DELAMARRE 2003: 295-6; DEVOTO, 1965)
towtā e * þeudô derivano entrambe dal tema proto-IE * tewā(tewē), con significato di “far crescere, proteggere, tutelare”.
Vedi:
latino:
tutela, tutor, totus/a (nel senso di “tutto/all/todo” = originariamente significante “completamente cresciuto/completamente giunto a maturazione”), tota (= “il popolo di Roma”, ma non inteso in senso militare, sennò sarebbe “populus”, dall’etrusco *puple nel significato di ’(gioventù) atta alle armi’, se vogliamo prestare fede alla plausibilissima ricostruzione di C. De Simone che tuttavia raccoglie l’eredità di una numerosa e autorevole tradizione di studi, come ricorda il precitato SACCHI. Solo DEVOTO dice che “populus” deriverebbe da una radice mediterranea *poplo= “crescita)”.
albanese gego:
tana, tanë = “tutto/todo/all/alles” da *toutanna
Aggiungo io che la base del tema proto-IE * tewā(tewē) potrebbe trovarsi in
http://www.geocities.com/protoillyrian/index.html
Root / lemma: tēu-, tǝu-, teu̯ǝ-, tu̯ō-, tū̆-
Meaning: to swell; crowd, folk; fat; strong; boil, abscess
German meaning: `schwellen'
Comments: extended with bh, g, k, l, m, n, r, s, t
Material: Old Indian tavīti `is strong, hat Macht', Perf. tūtāva; in addition tavás- `strong, stalwart ', as Subst. Akk. tavásam, Instr. tavásā ` power, strength '; távyas- távīyas- `stärker', távasvant- `strong', táviṣmant- `strong, mighty', taviṣá- `strong', táviṣī f. `force, power'; ablaut. tuvi- inKompositis `very, mighty', tuviṣṭama- `the stärkste': tūya- `strong, geschwind';
av. tav- `vermögen', tavah- n. `power, force', tǝvīšī f. `Körperkraft'; ap. atāvayam `I vermochte', tunuvant- `mighty', tauvīyah- `stärker' (: Old Indian távīyas-), tauman- n. `fortune, force, power';
arm. t`iv `number'; doubtful t`up` (*tū̆-pho-) ` thicket, shrubbery, bush';
gr. Τιτυός the name of geilen Frevlers wider die Leto; ταΰς μέγας, πολύς Hes. (*tǝu̯-ú-s), ταΰσας μεγαλύνας, πλεονάσας Hes.; σάος (kypr. ΣαFοκλέFης), Kompar. σαώτερος, contracted ion. att. σῶς, σῶος `heil, unversehrt; certainly' (from *tu̯ǝ-u̯o-s); compare M. Leumann Gedenkschrift Kretschmer II 8 f.; in addition hom. σα(F)όω, hom. att. σώζω (*σωΐζω), Fut. σώσω `retten, receive', σωτήρ `Retter' etc; (`voll an Körper = fit, healthy'); σῶμα n. `body' (*tu̯ō-mṇ `Gedrungenes'), σωματόω `fest make, verdichten'; σώ-φρων (*σαό-φρων) `fit, healthy an Geist, vernünftig'; with derselben Wurzelstufe still σωρός, S. 1083;
lat. *toveō, -ēre `vollstopfen' as base from tōmentum `Polsterung' (*tou̯ementom) and tōtus `whole' (*tou̯etos `vollgestopft, kompakt');
russ.-ksl. tyju, tyti `fett become', ablaut. serb. tôv m. `Fettigkeit'.
9. t-derivative teutā `(bulk, mass) people, land'; teutono-s `Landesherr':
Illyr. PN Τέυτα, Teutana, Teuticus, Τεύταρος messap. PN ϑeotoria, Gen. ϑeotorras; thrak. PN Tauto-medes; osk. τωFτο, touto, umbr. Akk. totam `civitas'; gall. GN Teutates (*teuto-tatis `Landesvater' to tata, above S. 1056), newer Toutates, Tōtates, Tūtates, PN Teutiō, Toutius, Tūtius, Toutonos;
Maybe truncated alb. geg. (*teutana) tana, tanë 'all'
air. tūath `people, stem, land', cymr. tūd `land', corn. tus, mbret. tut, nbret. tud `die people';
got. Þiuda, ahd. diot(a) `people', as. thiod(a), ags. ðéod, aisl. Þjōð `people, people', whereof ahd. diutisc, nhd. deutsch (originally `zum eigenem stem or Volk gehörig', Weissgerber Deutsch as people's name 1953, 261) and ahd. diuten `verständlich make (gleichsam verdeutschen), define, deuten', ags. geÞīedan `übersetzen', aisl. Þȳða `ausdeuten, signify'; germ. VN *Theu-danōz, keltisiert Teutonī, Toutonī, to dän. PN Thyte-sysæl; got. Þiudans `king' (*teutonos), aisl.Þjōðann, ags. ðéoden, as. thiodan ds. (illyr. PN Teutana, gall. Toutonos);
lett. tàuta `people', apr. tauto `land', lit. Tautà `Oberland, Deutschland', altlit. (Daukša) tautà `people';
hitt. tuzzi- `master, mister, Heerlager' (*tut-ti-?).
2a. Ipotesi: WIENER 1911
- *towtā è una radice effettivamente esistente e significa “completezza/pieno accrescimento”
- la presunta radice germanica * þeudô è assolutamente inesistente. Le parole germaniche significanti “popolo” deriverebbero, in realtà da tuttaltro.
“As the Goths were the chief apparitors and nearest servants of the Roman emperors, they were considered not only as "servi dominici," but as the "devoted people," as which they were frequently addressed, (70) hence devotus produces not only the connotations "servant," but also "people, gentiles." We have Goth. þiwadw, AS. þeowot, þeowet "servitude," from which come AS. þeow "servant, bondsman, slave," þeowe, þeowen, þeowin, þeown "a female servant," and Gothic has þius "slave," þiwi "a female slave," þewisa "servants," while OHG. has exclusively diu, diwa "female servant," diorna "girl, maid." From the OHG. is derived OSlavic dêva, dêvaya "girl," while OHG. has lost the masculine from which diu "female servant" was formed, the Slavic dêti "children," Russ. ditya "child," originally "puer noster, regius," as used in old documents, prove that a form diot, diet, now preserved only in OHG. in the sense of "people," originally meant "puer noster," and this is proved conclusively by Finnish dievddo, divdo "mas, vir," which has preserved both the old form devotus and the meaning attached to it. Similarly the OHG. dionôn "to serve," ONorse þjónari "servant," ORussian tiun, tivun "servant, officer, ruler," have lost a d, as is again proved conclusively by the Finnish teudnar "servus, famulus."
Goth. þiuda, OHG. diota, diot, diet, AS. þioda, þiod "people ," Goth. þiudans "ruler" have been referred to Umbrian tota-, tuta- "urbs," Sabinian touta "community," Oscan touto "civitas, populus," túvtíks "publicus," but that is totally impossible
(…)
the Germanic words cannot be separated from the meaning "servus," a connection which has arisen only through the employment of the German people as "servi dominici." This is further shown by the fact that the seniores Gotorum, with which we have already met, were derived from the schola gentilium seniorum, wherefore þiuda was identical with "gentiles," producing Lettish tauta "foreign country, Germany," OSlavic tuzdi, cuzdi "foreign," cudu "giant;" but these words may have developed directly from the connection of þiuda with the Germans”.
Non solo, secondo WIENER, anche le lingue celtiche avrebbero solo copiato il latino:
The Celtic languages have also this confusion, for from devotus are derived Irish tuath, Welsh tûd, Cornish tûs, "nation, people, men”.
Va detto che ai tempi di WIENER non erano ancora stati fatti sufficienti studi, né scoperte archeologiche che hanno oggi più che confermato la piena equivalenza tra il “touto” italica e la “touta” gallica. Valeva comunque la pena esporre anche il suo pensiero.
Altri, hanno fatto notare l’esistenza di una parola in Ittita: hitt. tuzzi- `master, mister, Heerlager' (*tut-ti-?). Heerlager= accampamento dell’armata.
Di qui, la connessione con “il popolo in armi”.
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crougintoudadigo12 de mar. 2006SALUD Y GLORIA CARO GIORGIODIEFFE
‘Treba’, con origen en la idea de de *TREF, “casa” y ‘soberanía doméstica, es palabra polisémica como todo lo doméstico. En Gales designa una casa y una pequeña parcela de tierra, pero pudo haber designado el territorio político. La palabra griega ‘oikos’, significa, casa, vivienda, habitación, cuarto, sala, comedor, templo, jaula, nido, residencia, bienes, propiedad, hacienda, fortuna, familia, linaje, servidumbre, criados, y también patia, el adverbio ‘oíko-then’, significa a la vez “lo de casa” o “lo de la patria”. ‘Tref/b’ está a nuestro modo de ver Crougintoudadigo emparentado con la palabra “tribus”, y los que, prefieran la otra via y quieran hacerla derivar de los titeres, ramneres y luceres tienen todo nuestro respeto, sobre este tenor decia J. HEURGON “En los tiempos históricos ( tribus urbanas desde Servio Tulio, y 31 tribus rurales) la palabra tribus llegó a tener una acepción sencillamente geográfica, lo mismo que en umbro “trifu-“ designa el territorio de una ciudad ([G. DEVOTO Litalische Landeskunde: 1. Land un Leute; 2. Sies Staedte, Berlín, 18883-1902], 269, cf. la ‘tribus Sapinia’, LIV., XXXI, 2, 6; XXXIII, 7, 1 IN HEURGON]” – dice HEURGON, añadiendo a renglón seguido- “Y no es imposible que tal acepción correspondiese al primer sentido” [Roma y el Mediterráneo Occidental hasta las guerras púnicas, Nueva Clio, 1971, p138-39
Observe señor, que a nuestro modo de ver, esta realidad territorial, con su sistema jurisdiccional interno, estaba muy extendida en prácticamente toda la la Europa de la Edad del Hierro, sobre todo bárbara, y en muchos casos sin vida urbana. Por otra parte esta realidad institucional también existía y plenamente formada en la Europa de la Edad del Bronce, otra coiné institucional, y cree Andrés PENA, y lo demuestra en su tesis doctoral, donde se conciben las instituciones en un proceso acumulativo de cristalización, plenamente reconocible desde el Neolítico, que la palabra podría tener su origen indoeuropeo en una casa del Neolítico, plurifamiliar, de forma trapezoidal, sujeta por grandes trabes exteriores, pero esta es otra danza.
La treba es la unidad política básica, interiormente existe una fragmentación en pequeños espacios jurisdiccionales, castella, demarcados.
Por encíma de la treba, está en Galicia una unidad mayor, equivalente en todo al mór túath irlandes, en manos de un alto noble- Así el conde de TrastáMara Fernando Pérez, y su condado llamado de Traba por su padre y por él de Trastámará, estaba compuesto por las trebas matrices de Carnota/Entines, Barcala, Celticos (supertamarici), Vimiantum y Nemancos (Nerii), por Duvrianos, Scutarios; Faro, Brecantinos y Selagia; y por Nemitos Prucios, Bezoucos,Trasancos (tartares, artabri) Labacengos (lapatiancos) y Arrós (arroni, arrotrebae), y estas tierras se acumulaban o desacumulaban por succesio, y por matrimonios con adfines casas nobiliares dueñas de adfines trebas. Pero en cada treba en conde era “principe sive imperante de terra”, o lo era bajo su mando uno de sus hermanos.
Lo mismo sucedía con la Terra de Toroño ( juriscción civil correspondiente con la sede episcopal de Tuy), y hay quien se piensa con muy buenos argumentos que aún pudo haber sido la capital del reino suevo (que posiblemente, no solo no habría desaparecido, sino que tras la invasión sarracena, como lo apunta Amancio Isla Frez habría quedado esencialmente incólume, frente a lo que sostienen los falsos cronicones manipulados por la propaganda ovetense) bajo uno de los dos Witizas, en realidas, circunstancia que, de haberse dado, pudo motivar el que, no solo se insertasen falsedades en los cronicones realizados por los propagandistas de la monarquía astur, sino que se pensase luego que Witiza allí había establecido la capital de la monarquía visigoda [pero esta es otra historia de la que también habla junto con los primeros reyes gallegos, nuestro paredros Andrés Pena Graña en sus papeles del 2004, revisando un trabajo suyo muy anterior]). Pues la Tierra de Toroño, ‘Turonium”, era, como ‘trastaMara’ un mór túaht, subdividido en las “terras de ‘Fragoso’, de ‘Miñor; de ‘Turares>Taras”, de ‘Louriña’, de ‘San Martín” de la “Novoa”, como lo demuestra, Manuel Fernández Rodríguez, en una obra publicada en Cuadernos de Estudios Gallegos, anexo XXXI, en 2004, pp29 a 70. En ellas los nobles mantenían los mismos títulos de principes que nos muestran los epígrafes de época galaicoromana, junto a los de imperantes, de tenenes y de ricoshomes, y aún en un caso el de ‘rex de Milide’.
En fin, esto lo sostenemos con miles de diplomas, en largos y farragosos papeles, donde estudiamos cláusulas y fórmulas legales, etc. etc. bla, bla, bla., y cuando CROUGINTOUDADIGO se sienta con ánimo, o descargado de trabajo el Andrés Pena Graña, se colgarán en Celtiberia los capítiulos correspondientes a la arqueología institucional de nuesto paredros.
CROUGINTOUDADIGO LE INSERTA A ESTE TENOR, COMO ANTICIPO, UN PEQUEÑO FRAGMENTO DE LA TESIS DE ANDRÉS PENA GRAÑA, publicada digitalmente por la USC en 2004,
1.1. PRINCIPES DE TERRA
Similares a las casas nobles, la fine, clientela ‘de sangre’, ‘cené’l, constituía la caballería del Princeps / Corono de la Terra o Treba “Casa”, “Tribu”. Estos príncipes están atestiguados por las fuentes y por la epigrafía gallega, por un lado en la inscripción de Pedreira (Vegadeo), donde aparece tras el signum Xp (Chrismon) entre el sol y la luna “NICER / CLVTOSI / CARI / ACA / PRINCI / PIS AL / BIONV / M AN / LXXV/ HIC S (ITVS) EST” (“aquí yace Nicer Clutosi del castelo Cariaca, del Príncipe de los Albiones, de 75 anos) (1) ; por otro lado en una inscripción de Lugo, entre los ‘Copori’, se menciona posiblemente a otro ‘princep’s, hijo de ‘Verobl’, de mutilado nombre (2).
Semejantes a los celtibéricos de aroma Atlántico, como sucede con los típicos hábitats de la Edad del Hierro, llamados castros, con sus casas circulares, etc., los principes territoriales do NW no constituyen una rareza en la Península Ibérica.
En una ocasión mostramos como acabada la II Guerra Púnica con una fina intuición Escipión liberó a los rehenes hispanos -prueba de que la devotio se garantizaba usualmente con la entrega de familiares de los nobles y príncipes de las civitates- vendiendo como esclavos a los africanos.
Envió a todos los rehenes sin rescate a sus casas respectivas, y con este hecho se granjeó la adhesión de muchos pueblos y reyezuelos, entre otros de los ilergertes Indibil y Mandonio; a los celtíberos se los atrajo de la manera siguiente: se hallaba entre los prisioneros una joven de una belleza extraordinaria, de la que se sospechó que él (Escipión) estaba enamorado, pero, enterándose que estaba prometida a un cierto Alucio, muy poderoso entre los celtíberos, dejó inmediatamente a éste en libertad y le entregó la joven con los presentes que sus familiares le habían enviado para rescatarla, con este hecho logró la amistad de todos(3).
Entre estos nobles rehenes se encontrarían la mujer y las hijas de Mandonio, hermano de Indíbil, y la prometida de Alucio. Los historiógrafos romanos: DION CASIO, POLIBIO, FRONTINO, LIVIO y APIANO se detienen para destacar la sorpresa de Allaucio al rechazar Escipión el rescate que le ofreciera por su deslumbrante prometida y su agradecimiento al comprobar que se la había devuelto virgen.
La conducta de Escipión, muestra de su trayectoria profesional y de su visión política, obtuvo el inmediato resultado de una masiva concurrencia de principes hispanos con regalos: Indibil y Mandonio (norte del Ebro), Edecón, rey dos Edetanos (Valencia e Sagunto) etc. Estos y otros nobles de diversos pueblos anudaron con él un ‘foedus’ por el que prestarían asistencia militar a cambio de dinero (4).
Al día siguiente, reunidos todos los prisioneros en número de 10.000 infantes y más de 2000 jinetes, trató sobre su arreglo; todos los hispanos que habían tomado las armas a favor de los cartagineses en aquella ocasión vinieron a rendir sus personas a la fidelidad de los romanos y en las conversaciones que mantuvieron dieron a Escipión el nombre de rey; el primero que hizo esto y le honró como tal fue Edecón y posteriormente siguió su ejemplo Indíbil (5).
Podemos, sin comprometer demasiado, afirmar que poco o nada se diferenciaría de un príncipe territorial de un ‘rí-túath’ de Irlanda o de las Islas Británicas un príncipe Territorial de Hispania o de la Gallaecia como el mencionado príncipe de los ‘Albiones’ a quien servía en el castro ‘Cariaca Nicer’, hijo de ‘Clutoso’, el posible príncipe de los Cóporos, hijo de Veroblio [= VERO BREO “EL DE LA ALTA CIUDAD FORTIFICADA”, posible categoría divina del celta hospedero de los muertos, cf. el artículo de Pena Graña sobre San Andrés de Teixido en Celtiberia]. Los príncipes territoriales celtas eran grandes terratenientes y señores de señores, en 1999 señalamos como:
“Un rey británico dos Atrebates, Cogidubnus, o seu pazo de Fishbourne, preto de Chichester asombrou os arqueólogos dos anos 60, era ‘rex et legatus August’i. Os romanos mantivéronno no seu posto porque a sua traición permitíulles contar cunha base de confianza para sometelo W de Inglaterra. Mais aos outros Británicos (6) os romanos quitaronlles a soberanía que pasou ao representante do pobo romano; xa non son ‘rege’s mais manténselle a súa preeminencia (príncipes) nos seus territorios única forma de que Roma poidese ter un cómodo control sobre eles (7). Parte de estos territorios Territorios Políticos hostís a Roma foron cecais atribuídos a Cogidubnus polos romanos (‘Atrebates’ é unha verba equivalente a latina ‘atributi’) ¿Ao contar cun home de confianza, atribuíronlle Trebas ou tribus veciñas para garantir a súa fidelidade? ¿Viña de antes esta atribución? Como fora, os atribuídos a Cogidubnus, rey dos Atrebates, seríano en virtude dun vínculo persoal que quedaría disolvido á súa morte (ca. ao 80 d. C.) esgazados dos ‘Atrebates’ os ‘Belgae’ e os ‘Regnenses’”(8).
1.2. AT/TRIBUCION Y CON/TRIBUCIÓN
‘At/tribuere’ consiste por parte del conquistador en ‘atribuír’, “juntar tribus”, ‘Trebas’ o ‘Territorios Políticos’ tal vez hostiles o sospechosos a los ojos de Roma y entregarlas o aponerlas a ‘civitates’ de confianza y a sus príncipes clientes afectos. ‘Con/tribuer’e, otra palabra que fue probablemente el origen de la hispana ‘Con/trebia’ -y acaso de la galesa ‘can/tref’, aunque esto último con alguna reserva pues la etimología hace sin embargo derivar ‘can/tref’ de ‘cen’ “cien”, y ‘tref’, “casa” (similar al ‘cenfogos’ gallego, cosa que se puede deber a cuestiones de polisemia)- y su homónimo latino ‘contributu’, podría, por el contrario, indicar el curso de otro tipo de dependencia dentro de la dinámica interna de las comunidades, una verdadera encomienda -lo que en Irlanda se llamaban ‘aitech-túatha’ “gentes vasallas” de los ‘fortúatha’ “principados dependientes”- determinada ésta quizás por la demanda por parte de la comunidad débil de protección y por la seguridad brindada a la treba o toudo encomendada por la poderosa ‘treba’ receptora. Los ‘frotúatha’ o ’contributi’ nacen ora por concesión al apremio del más fuerte de los más pequeños o pusilánimes, ora viablemente – como así nacieron también muchos estados modernos europeos- por una patrimonial concentración en la ‘tanistry’ derivada de los enlaces y alianzas matrimoniales entre los terratenientes príncipes, herederos de Territorios’ adfines’. El Atlántico es totalmente homogéneo en esto, y es atántica, a nuestro modo de ver, la Iberia cuyos ríos son tributarios del Atlántico.
Las tribus Ibéricas, confirman nuestro aserto informándonos César como estas, noticiosas de la victoria naval ante Marsella de Décimo Bruto, se le allegaron masivamente:
“Interim Oscenses et Calagurritani, qui erant cum Oscensibus Contributi, mittunt ad eum (César) legatos seseque imperata facturos pollicentur”(9)
Los más madrugadores, los ‘Calagurritani’, Loarre al Norte de Huesca, estaban vinculados como ‘contributi (= Contrebia = cantref)’ con los Oscenses, habitantes de Osca, hoy Huesca). Posiblemente este vínculo se habría celebrado y escenificado en el seno de alguna de las ferias o asambleas que conocemos en el Noroeste, en la ‘Gallaecia’, con el nombre de ‘*Oenach / Forum’, sacrificándose en estas ocasiones quizás los caballos, como sucede con los cántabros(10), no excluyéndose junto al sacrificio de caballos la ejecución de algunos ‘proditore’s, como la probada en Bletisama, Ledesma (11), y el sacrificio de puercos, forma que adopta la’tessera hospitalis’ del año 14 de Herrera del Pisuerga (12).
A menudo vemos representarse estas encomiendas feudovasalláticas en los ‘hospitia’ celtibéricos junto a la expresiva forma del sacrificial puerco, también en forma del explícito “apretón de manos” representando, no ciertamente el saludo equipolente al que hoy acostumbramos, sino la expresión del cierre de un acuerdo o trato entre un patrón y un cliente, de la consumación de la clientela, la expresión plástica de la dependencia, del vínculo y el vasallaje, de la protección, fides patroni, dispensada por el dominus al cliens, reflejando la institución de la encomienda que aún nos recuerda la popular expresión “estar en buenas manos”, y en un gesto expresivo que pervivió en la plástica feudal de la Edad Media. Mediante estos antiguos pactos de hospitalidad, a través de una especie de adopción, como hombres “libres” pero sometidos a la jurisdicción de un ‘patronu’s, ‘liber’i = “hijos legítimos” en un sentido equivalente a los ‘eter’ etruscos o a los ‘ambacti’ “satellites” celtas, los sometidos, los ‘in fidem acceptos’, entraban en la familia del ‘patronu’s.
1.3. MODELO DE RELACIÓN VERTICAL: PODER EXTRATERRITORIAL Y ARISTOCRACIA TERRITORIAL
La aristocracia ‘territorial’ cerrada (clan) sigue manteniendo secularmente el control familiar de los ‘Territorios Políticos Autónomos Celtas’ durante toda la dominación romana; un número reducido de familias, élite de fortuna y poder controla las ‘Terrae’ o ‘Territoria’. Estrechamente emparentadas entre sí, su pervivencia señala su condición de grandes propietarios de tierras desde mucho antes de la crisis del Imperio Romano, sólo en este contexto podían instalar y reinstalar a su clientela, a través de ‘prestimonia’ en el territorio económico segmentado, que crece dentro de la Treba, por mitosis o clonación, previa autorización de la cúspide de la pirámide jerárquica vertical (emperador o rey), clientela garante de la fuerza económica y poder del príncipe de la ‘TERRA’.
AHN, CDJ, CÓDICE 1041B, Nº 23 FOL. 3 v.
Quizá antes del siglo III los ‘principe’ de los ‘Territoria’, ‘Territorios’, y detrás de ellos sus caballeros (del territorio económico segmentado) trasladan su residencia a una lujosa “uilla” que funciona como un palacio rural, centro administrativo y receptor de las rentas y servicios.
El traslado sería repentino como muestra genialmente el profesor Blanco Freijeiro que, tras analizar una serie de ‘uillae’ similares a las galas y germánicas y resaltar el contraste entre las uillae gallegas y las uillae fundiarias concentradas “en las buenas zonas del Valle del Duero y sus mayores afluentes, al este del Pisuerga”, concluye que "los propietarios de las uillae de las actuales Galicia y Asturias no eran de ordinario romanos sino provinciales”. Una ‘uilla’ gallega funcionaba como la uilla de Cogidubnus en Chichester, un centro administrativo, capital del TERRITORIO o TERRITORIOS del príncipe, con calefacción, estancias familiares, con dependencias administrativas y tullas para el almacenamiento de las rentas. Los señores del territorio económico fragmentado, más limitados en recursos, llamarán pomposamente ‘uillae’ a sus castronelas (Defended Farmsteads) que no tenían de uillae más que este nombre ligado al nombre del posesor “Uilla Naroni”, “Uilla Ferreoli”, etc.
Constituida por los fraccionados espacios jurisdiccionales o ‘dominicales’ herederos de los castros/ ‘domi’ elementos del Territorio Político Celta hasta bien entrada la dominación romana, las ‘uillae’ galaico-romanas legatarias del área geográfica de los castros que suplantan ahora, suponen la continuación de la pretérita económica y segmentada organización interna de la Treba, de la ‘Civitas/Populus’, de la ‘Terra’. La ‘uilla’ del Noroeste, una demarcación, un coto privado, una cédula articulativa económica, espacial y jurisdiccional básica y la única forma de hábitat conocida en el Territorio Político, sin solución de continuidad, casi hasta finales del siglo XII, ha sido mucho más que un edificio lujoso(13).
A diferencia de lo que ocurre con un potentado de nuestros días, por la similar motivación que imposibilitaba la creación de un feudo o la construcción de un castillo a un judío en la Edad Media, un alfarero galaico-romano enriquecido, un mercader o un nuevo rico, no podrían haberse construido nunca una uilla.
Prosperaba la inmarcesible ‘Treba’, ‘Estado” [ estado patrimonial de un ‘tanaiste’ de una casa noble] o ‘Territorium’, bajo concesión (beneficium) del príncipe con la creación de nuevos castros, de celdas segmentadas, de espacios o territorios económicos demarcados, en las zonas más fértiles y ventajosas del ‘principado céltico’. Así vimos también a los saborenses construir, a voluntad, un castro de llanura con el permiso de Vespasiano, o se construyó Monte Mozinho en Portugal.
Pero a partir de un momento impreciso de la dominación romana, en la ‘Ciuitas’, en el ‘Populu’s en el ‘Territoriu el tejido jurisdiccional menudo, los ‘territorios económicos segmentados’ progresan ahora en torno a unas pequeñas granjas con recintos defendidos o castronelas (llamadas igualmente ‘uillae’) en cuyos espacios acotados, los provincianos señores (‘domin’) acomodan por un plazo legal de tres voces o generaciones a sus vasallos, siervos o campesinos libres irradiándolos por su jurisdicción, adjudicándoles unifamiliares unidades de explotación (‘conducta’).
Las minúsculas agrupaciones humanas del espacio económico en el que la ‘uilla’ ejerce su jurisdicción dieron a uilla medieval la consideración de lugar habitado aparentemente despojado de su significado dominical confundiendo a los medievalistas, hasta el año 1992 en que elucidamos este proceso (PENA 1992) por primera vez.
Aún pudiendo no ser del todo irrefutable, como afirmaban Alberto SANPAYO y Fustel DE COULANGES, el hecho de que la uilla tenga en el siglo IX la misma extensión y los mismos límites que en el siglo IV, pues el territorio no dejó de fraccionarse creando nuevas unidades durante el dominio suevo y después de él, si es, como lo vieron los aludidos autores, axiomático el hecho de que las uillae del S. IV, con su régimen interno pro-indiviso, tendrán la misma extensión y límites hasta el S. XII.
La parroquia gallega no pudo haber sido nunca heredera de los castros al surgir tardíamente a partir de una remodelación eclesiástica (14) así la feligresía de Santa María Mayor del Val en Narón, Tierra de Trasancos, se formaría a partir de la fusión de varias uillae propiedad pro indiviso de milites o caballeros, perfectamente deslindadas por marcos herederas, a su vez, de cuatro castros (15).
NOTAS
(1)A GARCIA BELLIDO: “Los Albiones del NO de España y una estela hallada en el occidente de Asturias”, in Emerita 11, 1943, pp. 418 ss.
(2) I.R. Lugo 34: “(...) IVS VEROBLII F. PRINCE (PS) CIT. CIRCINE[...]”, Lugo. Em XI, 123.
(3)DION CASIO LVII, 42. In Narciso SANTOS YANGUAS. Textos para la Historia Antigua de la Península Ibérica. Oviedo, 1980, p.116-7.
(4)A.PENA: obr. cit. 1991, p.131.
(5)POLIBIO X, 38. 40. In Narciso SANTOS YANGUAS. Textos para la Historia Antigua de la Península Ibérica. Oviedo, 1980, p.118.
(6)TACITO: Agrícola XII, 1.
(7)A. PENA: Ibdi. 1991, p.129
(8)CIL VII 11 = RIB 91.
(9) CÉSAR: De Bello Civili I, 60.
(10) HORACIO: Carm. III, 4, 34; SILIO ITÁLICO, III, 361
(11) LIVIO: Per. 48. In JAVIER DE HOZ “La religión de los pueblos prerromanos de Lusitania. Primeras jornadas sobre manifestaciones religiosas en la Lusitania. Cáceres 1986 31-49, p. 48
(12) A GARCIA Y BELLIDO: “Tessera hospitalis del año de la era hallada en Herrera del Pisuerga.BRAH 69, 1966:149 ss.
(13) Cf. la conferencia intitulada “La Uilla Romana en Gallaecia y su posible relación con la vita communis del Priscilianismo”pronunciada por el Dr. D. Antonio BLANCO FREIJEIRO (del 7 al 2 de septiembre de 1981 in Monografías de los Cuadernos del Norte C.A.A. pág. 57, 70) en un curso organizado por la Universidad Internacional Menéndez Pelayo en Pontevedra.
(14)Un quinto espacio jurisdiccional entre cuatro espacios dominicales (de ahí la expansión de lugares llamados Quintá o Quintana en más de 500 parroquias gallegas) destinado o cedido a la iglesia.
(15) “[…] Quomodo obtinuit eas antecessor meus per terminos et divisiones suas antiquas, id est uilla de Platanedo (Pradeedo, O Val, Narón) dividitur per illam armatam etper illum carvalium Pelagii Fernandi et per Arcam de Vados Pasandi (Arca de Vespasante, un túmulo que separa las feligresías del Val de San Mateo) et tornat se per castinariam de Alvare et per illam portam castri et inde ad Fontem Cecam. Hereditas de Quintana ubi eam inveneritis, hereditas de Uilla Cornelli dividitur per ubi se dividit de Ciobre et quo modo se dividit de Valle Malo (luego estas uillae particulares determinadas por marcos conformarían la feligresía de Sta. Maria a Mayor del Val, inexistente todavía a finales de 1173) et inde per Grandalem et inde ad Lamam Molinum”. Sobrado. Tumbo II. n. 420 fol 142 v. y 143 r., in tras. de Pilar de LOSCERTALES DE VALDEAVELLANO. Tumbos del Monast. de Sobrado. Madrid. 1976.
SALUD Y GLORIA CARO GIORGIODIEFFE
SIC FATUR CROUGINTOUDADIGO
crougintoudadigo12 de mar. 2006"y más crougintoudadigas correcciones "
‘Treba’, con origen en la idea de de *TREF, “casa” y ‘soberanía doméstica, es palabra polisémica como todo lo doméstico. En Gales designa una casa y una pequeña parcela de tierra, pero pudo haber designado el territorio político. La palabra griega ‘oikos’, significa, casa, vivienda, habitación, cuarto, sala, comedor, templo, jaula, nido, residencia, bienes, propiedad, hacienda, fortuna, familia, linaje, servidumbre, criados, y también patria, el adverbio ‘oíko-then’, significa a la vez “lo de casa” o “lo de la patria”. ‘Tref/b’ está a nuestro modo de ver Crougintoudadigo emparentado con la palabra “tribus”, y los que, prefieran la otra via y quieran hacerla derivar de losTities, Ramnes y Luceres tienen todo nuestro respeto.
Sobre este tenor sostiene J. HEURGON:
“En los tiempos históricos ( tribus urbanas desde Servio Tulio, y 31 tribus rurales) la palabra tribus llegó a tener una acepción sencillamente geográfica, lo mismo que en umbro “trifu-“ designa el territorio de una ciudad ([G. DEVOTO Italische Landeskunde: 1. Land un Leute; 2. Die Staedte, Berlín, 18883-1902], 269, cf. la ‘tribus Sapinia’, LIV., XXXI, 2, 6; XXXIII, 7, 1 IN HEURGON]” – dice HEURGON, añadiendo a renglón seguido- “Y no es imposible que tal acepción correspondiese al primer sentido” [“Roma y el Mediterráneo Occidental hasta las guerras púnicas”. Nueva Clio, 1971, p138-39
Observe señor, que a nuestro modo de ver, esta realidad territorial, con su sistema jurisdiccional interno, estaba muy extendida por prácticamente toda la la Europa de la Edad del Hierro, sobre todo bárbara, y en muchos casos sin vida urbana.
Por otra parte esta realidad institucional también existía, y ya plenamente formada en la Europa de la Edad del Bronce, conformándose otra coiné institucional europea, y cree Andrés PENA (y lo demuestra en su tesis doctoral donde se conciben las instituciones en un proceso de cristalización acumulativo) que sería una realidad institucional plenamente reconocible desde el Neolítico, y aún que la palabra *tref/b podría tener su origen indoeuropeo en una casa del Neolítico, una casa plurifamiliar, de forma trapezoidal, sujeta por grandes trabes exteriores, pero esta es otra danza.
La “treba” es la unidad política territorial básica. En la “treba” interiormente existe una fragmentación en pequeños espacios jurisdiccionales demarcados, castella, vici, luego villae.
Por encíma de la “treba”, existe en Galicia una unidad mayor, equivalente en todo al “mhór túath” irlandes, similar a un condado o agrupación de trebas en manos de un alto noble,
Así el conde gallego de Fernando Pérez, y su condado llamado primero de Traba por su padre y luego por él de TrastaMara” (nombre tomado de la “treba” de los “Celtici Supertamaricos”), estaba compuesto por las trebas matrices de Carnota/Entines, Barcala, Celticos Ssupertamarici), Vimiantum y Nemancos (Nerii), por Duvrianos, Scutarios; Faro, Brecantinos y Selagia; y por Nemitos Prucios, Bezoucos, Trasancos (T]artares, artabri) Labacengos (Llapatiancos) y Arrós (Arroni, Arro-trebae), y estas tierras se acumulaban o desacumulaban (at-tribución, attributi, attrebates) por succesio, y por matrimonios con “adfines” –como sucedía con los reinos de los reyes medievales- casas nobiliares dueñas de adfines trebas. Pero en cada treba en conde era “principe sive imperante de terra”, o lo era bajo su mando uno de sus hermanos.
Lo mismo que sucedía con el “mhór túath” de TrastaMara sucedía con la Terra de Toroño, que era una “terra de terras” (=mhór túath), una juriscción civil más o menos superpuesta a la sede episcopal de Tuy (otra herencia celta de la dúplice soberania civil y religiosa, apuesta al mismo territorio) , y hay quien se piensa con muy buenos argumentos que aún pudo haber sido la capital del reino suevo.
Un reino que no solo no habría posiblemente desaparecido sino que tras la invasión sarracena (como lo apunta Amancio Isla Frez, podría habría quedado esencialmente incólume, y ello frente a lo que sostiene ña doctrina consagrada con los falsos cronicones manipulados por la propaganda ovetense) y aún bajo uno de los dos Witizas, circunstancia en realidas que, de haberse dado como parece, pudo motivar las mencionadas falsedades en los cronicones puestas por los propagandistas de la monarquía astur, y que se pensase ahora que Witiza había establecido allí la capital de la monarquía visigoda, cuando lo que habia allí era la capital de la monarquía sueva [pero esta es otra historia de la que también habla junto con los primeros reyes gallegos, nuestro paredros Andrés Pena Graña en sus papeles del 2004, revisando un trabajo suyo muy anterior]).
Pues la Tierra de Toroño, ‘Turonium”, era según dijimos como ‘trastaMara’ un mhór túaht, subdividido a su vez en otras “Terras”: las “terras de ‘Fragoso’; de ‘Miñor; de ‘Tarares>Taras”; de ‘Louriña’; de ‘San Martín”; y de de la “Novoa”, como lo demuestra, Manuel Fernández Rodríguez, en una obra recientemente publicada en Cuadernos de Estudios Gallegos, anexo XXXI, en 2004, pp29 a 70.
En ellas los nobles mantenían los mismos títulos de “principes” que nos muestran los epígrafes de época galaicoromana, junto a los de imperantes, de tenenes o de ricoshomes ( que Fernández hace derivar del gotico reik); y aún en un caso- como en Irlanda- el pomposo de Rex, en ‘rex de Milide’.
En fin, esto con miles de diplomas en largos y farragosos papeles donde estudiamos cláusulas y fórmulas legales, etc. etc. bla, bla, bla lo sostenemos factográficamente. Y , un día de estos, cuando CROUGINTOUDADIGO se sienta con ánimo, o más descargado de trabajo, con su paredros Andrés Pena Graña, les colgarán en Celtiberia los capítulos correspondientes a la arqueología institucional.
CROUGINTOUDADIGO LE INSERTA A ESTE TENOR, COMO ANTICIPO, UN PEQUEÑO FRAGMENTO DE LA TESIS DE ANDRÉS PENA GRAÑA, publicada digitalmente por la USC en 2004,
1.1. PRINCIPES DE TERRA
Similares a las casas nobles, la fine, clientela ‘de sangre’, ‘cenél”, constituía la caballería del Princeps / Corono de la Terra o Treba “Casa”, “Tribu”. Estos príncipes están atestiguados por las fuentes y por la epigrafía gallega, por un lado en la inscripción de Pedreira (Vegadeo), donde aparece tras el signum Xp (Chrismon) entre el sol y la luna “NICER / CLVTOSI / “)” CARI / ACA / PRINCI / PIS AL / BIONV / M AN / LXXV/ HIC S (ITVS) EST” (“aquí yace Nicer Clutosi del castelo Cariaca, del Príncipe de los Albiones, de 75 anos) (1) ; por otro lado en una inscripción de Lugo, entre los ‘Copori’, se menciona posiblemente a otro ‘princep’s, hijo de ‘Veroblio’, de mutilado nombre (2).
SALUD Y GLORIA CARO GIORGIODIEFFE
crougintoudadigo15 de mar. 2006¡SALUD Y GLORIA DRUIDAS!, aunque, reafirmándonos en nuestra lectio interpretatio primeriza, esta pudo resultar demasiado tajante o fluida, mea culpa, para VILLAR LÍEBANA, quien a su vez leyó y sin ver la pieza, a nuestro modo de ver de manera incorrecta, aunque no imposible: REVE TRASANCIANGE, donde aún, añadimos nosotros, pudiera existir en ese supuesto interpretativo una potencial i en ligatura con la n, es decir REVE TRASANCIANIGE “para Reve de Trasancos”, y ser Trasancos, como siempre popularmente se sostuvo, vox populi vox Dei, la “[tierra sita] tras el Monte de Ancos, un monte ciertamente muy prominente que toma posiblemente su nombre a su aspecto plegado como el de un acordeón –. En cualquier caso el territorio político autónomo celta gallego, como sucede también en Irlanda, puede -como cambia según las circunstancias su color un camaleón-, suplantando en algun caso un apelativo celta por uno latino (Terra de Cetaria), cambiar de denominación, sin que se alteren los marcos que definen el territorio político. El continente o la frontera de la proindivisa jurisdicción territorial continúa inalterable, pues en Galicia los marcos son inamovibles y con esos marcos, son inamovibles también (consuetam rationem) los usos y costumbres jurisdiccionales (2) que estos marcos circunscriben definiendo las bases y el carácter de la cultura atlántica de nuestro país objeto de nuestro interés a lo largo de casi veinte años.
- quien quiera otras versiones más eruditas consulte a J..J. MORALEJO- que quiso ver posiblemente en Callaecia, y en Calaicoi, como lo sostuvo luego la tradición Etimológica popular medieval gallega y lo sostenemos algunos heraldistas del presente, la vaina, el cáliz, o la copa. Y como una vaina, un cáliz, una copa, o un caldero, representa la plástica prehistórica y antigua atlántica una barca solar (precioso estudio el de T. W. ROLESTON seguido luego por F. ALONSO ROMERO) y la idea, presente también en numerosas mitologías, como la egipcia ¿influida por la indoeuropea?, de las barcas solares asociadas al acceso por el mar o por los ríos del sol y de las almas que van tras su estela al Otro Mundo. Estas creencias posibilitaron el hallazgo por H. SCHLIEMANN en una tumba micénica de una copa funeraria de oro de dos asas en forma de naveta, y luego, tal vez, al cáliz griego kallix, de donde provendría –desarrollaremos esta idea más adelante- tal vez la concepción mítica de los kallaicos, “los de la copa de oro”. Descendiendo hasta este kálix o copa de oro, obra de Hefaistos, que flotaba en el Océano, el dios solar Helios, solsticial, equivalente al Apolo Grannus “granate” celta, viajaba hacia el Oeste, sobre el Océano Atlántico, sin tocar el agua, todos los días para ir a su isla de Erythea y al Hades, donde tomaba su atajo para resurgir fresco como una lechuga, al día siguiente por el este.
¡SALUD Y GLORIA EN EL PAN NUESTRO DE CADA DIA, Caro GIORGIODIEFFE!
PUES SIGUIENDO CON LO NUESTRO, DE LA GÉNESIS Y LA EVOLUCION DE LAS TREBAS Y LOS TOUDOS, POR LO QUE RESPECTA A GALICIA, LE CONCLUYO QUE:
Llamado en la Edad Media comissum, comitatum, terra ou territorium, el Territorio Político Autónomo Celta de Galicia posee unos antiquísimos límites o inmarcesibles marcos de termino. Tomándolo (1) en unos casos de un possesor epónimo relevante príncipe territorial, o como éxito legitimatorio de una cuestionada o dudosa línea suplantatoria tal vez del viejo linaje nobiliar en otros, o por ambos motivos a la vez, los territorios políticos con el paso de los siglos pueden con relativa frecuencia cambiar de nombre, como San Petesburgo pasó a llamarse Leningrado, o como sucedería con en la Terra de Babegio, posibles latinización de una preexistente ignota treba celta, luego convertida en el comisum de Presaras y aún pudo pasar con la civitas/populus de los Artabri, que pasaron a ser en la Edad Media la Terra de Trasancos por cambiar probablemente, si bien esto es solo mera hipótesis, en época romana su antigua denominación por el nombre del latino possessor *Trasancus [fides erga patroni] en REBE TRASANCI AUG
Conocemos los Territorios Políticos fragmentariamente, por las fuentes clásicas, de modo particular, en su Historia Natural, sin citarlos a todos, Plinio el Viejo (3) nos señala en el conventus lucense la presencia tras el río Navia de los Albiones, y ya en La Mariña de Lugo de los Cabarcos, que no hay que confundir con los otros Cabarcos del arciprestazgo de este nombre de Astorga, de los Egovarros (hoy O Barro) de cuyo sobrenombre Namarinos habría tomado su nombre la actual comarca de A Mariña y de los Adovos, mencionando en otro lugar el geógrafo naturalista también a los Arrones o Arrotrebas aplicándoles a estos últimos infortunadamente el nombre de los Ártabros, posiblemente confundido tras buscar por la entrada Ar infructuosamente, Artabri, en el archivo imperial de Roma, hallando en su lugar exclusivamente en ese ingreso a los Arrotreba, Arroni o Treba de Arrós, en el índice tribal correspondiente al censo del conventus lucense, adecuada a la voz Artabri, porque ya la vencida denominación habría sido permutada por el antropónimo epónimo del galaicoromano possesor que en genitivo Trasanci, aparece mencionado en un epígrafe procedente castro de Santa Comba, Covas, Ferrol, verosímilmente del princeps epónimo de la treba que ahora ya figuraría como Trasanci en el fichero correspondiente a la letra T cuando Plinio eventualmente consultó el archivo). Ignorando estas circunstancias Plinio, al no encontrar a los Artabri por ninguna parte en los tribales registros censatarios niega en redondo la existencia de los Ártabros: “manifesto erro, xa que pobo tal nunca houbo con este nome”(4). Olvida por circunstancias similares mencionar Plinio junto a los Trasancos a su vecina treba de los Lapatiancos (pos. del antropónimo Lapatius, que por otra parte, también según MONTEAGUDO GARCÍA podría provenir de un compuesto ie de lap “alimentar” y pat, “vaca” más el sufijo –ancos, es decir “ganaderos”) que si cita Tolomeo, y acalla por su menor importancia a las trebas de los Besancos (Terra de Bezoucos), de los Nemitos (Terra de Nemitos o de Nendos, voz celta significando “los de los santuarios o németos” – todos estos santuarios prerromanos previsiblemente son las hoy célebres y antiquísimas capillas del románico Eumés (5) - y a los Prutencos (Prucios), olvida de nuevo, tras estos, los Territorios Políticos de los Babegios -treba que toma el nombre de un provincial posesor refundador epónimo de los Montanos, del antropónimo éponymos latino Babegius, substitutivo de otro nombre anterior probablemente celta que nos es desconocido-, de los Escutarios, de los Duvrianos y de los Bregantinos, pero menciona a los vecinos de estos últimos, los Célticos llamados Supertamaricos (por estar arriba *superos del río TaMara, hidrónimo celtoatlántico con sus dobletes en el TaMara ‘que separa Cornualla de Angalaterra’ y del londinense Támesis, de quienes, sin duda, en el siglo XII tomaría Fernando Pérez de Traba, su famoso título de Conde de TrastaMara), así como cita Plinio a los Nerios, a los Cóporos, a los Praestamaricos y a los Cilenos.
Por otra parte Mela, entre los 22 populi dos Astures que según lo pensaba él se podrían enumerar sin fastidio, cita únicamente a los Guigurros, a los Pesicos, a los Lancienses, a los Zoelas, a los Célticos y a los Lemavos, pero nos da el padrón completo, quizás sacado de un censo de época Augustea, con el listado de la población pechera o tributaria, que comprendía a 240.000 hombres libres “cabos da casa” esto es mayores de edad con ganado y tierras propias, “bó aire”, propietarios y, por ende, sumisos al desembolso de frumenta et pecuniae vectigales.
En el conventus lucense, enumera Mela a los Célticos y a los Lemavos, saltándose de su fichero 16 trebas de bárbaros y obscuros nombres (todos ellos en realidad ya recuperados hoy, con los sucesivos cambios de nombre a lo largo de los siglos, en su exacta posición y aún con sus antiquísimos marcos de término, por Alexandre Perez Vigo, en un extraordinario trabajo de reducción factográfica por él realizado bajo nuestra inicial dirección), aunque calcula de nuevo por el censo, el padrón de pecheros o contribuyentes que fija en 166.000 hombres libres, haciendo otro tanto luego con el conventus de los Brácaros donde de sus 24 trebas únicamente menciona además de los epónimos del conventus mencionado a los Bibalos y a los Coelernos (que él llama “Coelernos galaicos” (6) para distinguirlos como ha observado UNTERMANN de los Colarnos da Lusitania central citados casi a continuación, más abajo, por el propio Mela (7), a los Equaesos, a los Limicos y a los Querquernos, constituyendo, pues claro está en estos padrones no se contabilizan por su nulo interés fiscal los campesinos dependientes beneficiarios de ganado y de tierras colocado polos señores. Estos 285.000 tributarios galaicos brácaros son propietarios de ganado y de tierras, los hombres libres, peregrini, el grád túaithe celta, la base del estatus legal en definitiva las gentes de la treba.
No solo por los numerosos testimonios de las fuentes clásicas (8), sino también, a través de la epigrafía antigua (9) nos han llegado los nombres de estas trebas ou tribus da Gallaecia fragmentariamente aunque este hecho carece de importancia pues podemos reconstruir prácticamente en su totalidad -lo ha hecho, como dijimos con éxito, el mencionado naronés, Alexandre PÉREZ VIGO- y recomponer cabalmente en su geografía los territorio políticos celtas prerromanos o trebas, por nosotros definidos y distinguidos también para la Galicia Costera en 1995, y no nos estamos refiriendo a los pastiches al uso en la actual historiografía gallega- a través de las descripciones y deslindes que figuran en las abundantísimas fuentes altomedievales gallegas (10).
SOBRE ESTE TENOR SALDRÁUN ARTÍCULO EN GALLAECIA, LA REVISTA DEL DEPARTAMENTO DE HISTORIA I DE LA FACULTAD DE HISTORIA, DONDE MI PAREDROS ANDRÉS PENA SE EXPLAYA MÁS PORMENORIZADAMENTE.
Y ‘O DEVANDITO’ LO BASA CROUGINTOUDADIGO EN NUMEROSOS PAPELES DE ANDRÉS PENA GRAÑA PUBLICADOS A LO LARGO Y ANCHO DE ESTOS ÚLTIMOS AÑOS,
-PAPELES NO LO CELARÉ AQUÍ, NI EN NINGÚN SITIO (‘EIS’ NUESTRA DOSIS DE VITRIOLO DE HOY, CARO SILMARILLION) SEGUIDOS EN SILENCIO, POR NUESTRO INSANO TRASNILLO “Mobbing’Neng”.
Por otra parte, podríamos ir examinando, y CROUGINTOUDADIGO invita ahora a todos los druidas interesádos en lo que antes se llamaba bárbaramente “el problema de la etnogénesis”, a participar en este debate, que tendrá el nivel que vds., quieran. Qué pasa ¿no hay ningún irlandés, galés, córnico, escoces, bretón, etc., que interesándose por estas páginas, nos pueda entrar en francés y en ingles, y se nos convenga, y sume a nuestra empresa? ¿Teme alguien que se le puedan caer los anillos? ¿Qué anillos? Esto es Internet, aquí el nivel lo pone el lector.
Notas
(1)Aunque no fuese, claro está, latino quien lo llevaba
(2)Así Ordoño III dona en el año 952 al obispo de Santiago Sisnando II “comitatum nuncupato Ventosam in provincia Gallecie totum ab integro secundum illum plurimi comites obtinuerunt sic et nos aule vestre concedimus…ita dumtaxat ut eadem plebs sit ab hodierno die et deinceps loco vestro deservitura non tamen ut servi set ut ingenui e tras de advertir ao bispo “ut non imperet eos absque consuetam rationem […]” de manera semejante al donar el día 18 de maio de ese mismo año a la Igresa de Santiago el Commisso de Cornatum […] toto ex integro sicut eum habuerunt multi comites per ordinationem regiam…ut vestrae domui persolvant fiscalem censum, quem regie potestati persolvere assuerut, non ut servi, sed ut ingenui ita ut habeant illud clerici vestri […] ut exinde sustentationem et gubernationem habeant tam modo viventes in regimini huius loci […]” in FLOREZ. Esp. Sag. T. XIX, Sant.Tumbo A, fol 14. Antonio LOPEZ FERREIRO. Hist. S. A. M. I de Santiago de Compostela vol.II; apén. Nº LXIII, p.114 “et illi persolvant censum fiscalem sicuti alia plebs commisalia […]” ibid. LÓPEZ FERREIRO Vol II; apén. NºLXV. P 149-50. Santiago 1899
(3)PLINIO el Viejo: Hist. Nat.IV, 20, 110-12.
(4) PLINIO el Viejo: Hist. Nat. IV, 22, 114-15.
(5)Otro ejemplo lo tenemos en la llamada Ribeira Sacra, llena de fantásticos monasterios como San Esteban de Ribas do Sil, cuando en la realidad toma su nombre de Reboira o Riboira Sacrata, es decir “Robledal Sagrado”, un németon, término empleado en la carta de fundación del monasterio de Montederramo (11249 por la reina de Portugal doña Teresa, bosque sagrado celta que dio pié tras la cristianización a esa espectacular proliferación desde el siglo VI de numerosos e importantes monasterios, Santo Estevo de Rivas de Sil, Montederramo, San Paio de Abelenda, Santa Cristina de Ribas de Sil, etc., algunos antiquísimos, es el caso del monasterio de San Pedro de Rocas en Esgos creado por siete varones en el año 573 con su iglesia excavada en la roca granítica, en las márgenes de los ríos Miño y Sil.
(6) Esto es los Coelerni gallegos, oriundos de Galicia. Nunca hubo una fantasmal treba llamada “Galaicos” que supuestamente habría dado nombre a Galicia. Galicia, lo pensamos y decimos a modo de hipótesis, es creación griega, sobre un soporte claro está indígena, céltico, y posiblemente ajeno e independiente a las elucubraciones de la geografía e historiografía mítica del mundo clásico: el radical *cal- *ga-l, cel
Es posible que nuestra antigua y milenaria bandera –hasta que nos la cambiaron en la Habana, ¡Ay!, por una mutilada bandera de driza y señales marítimas -, hoy apenas reducido a poco más que un escudo de Galicia, hubiese mantenido esta idea del descenso del granate sol a su copa, cristianizada, ahora, con la idea eucarística del Santo Grial, de la copa de Cristo, donde, como lo explica la Instrucción sobre las Rúbricas Generales del Misal, ceremonias de la Misa Rezada y Cantada de Don Fermín de IRAYZOS, capellán del Convento de Agustinas Recoletas de la Ciudad de Pamplona y director de los Oficios Divinos de ese obispado, Madrid, 1806 pp. 242
“En los tres signos que se hacen con la Hostia dentro del cáliz, diciendo, per ipsum etc, están significadas las tres horas que el Señor estuvo pendiente en la cruz; y en las dos que se hacen fuera del Cáliz, se significa la separación del alma de Cristo de su cuerpo: luego se levanta el cáliz con la hostia, y se vuelve dexar, diciendo: Omnis honor et Gloria, lo qual se significa la disposición de la Cruz y su sepultura; y el cubrir luego después de esto el Cáliz con la Hijuela, significa la piedra que se puso sobre el sepulcro […]”.
Sea lo que fuere, el áureo cáliz, copa o naveta, recogía cada día en el Atlántico al crepuscular, al moribundo Apolo celta Grannus, al sol rojo como la grana, al dying god cansino y lo transporta volando sobre las aguas al Otro Mundo, a la isla Eruthia “La Roja”, a la Isla de los Bienaventurados y de la Eterna Juventud, para que al día siguiente, descansado y rejuvenecido, resucite de nuevo. Este y no otro sería el tema del Santo Grial, que por los caminos de las barcas de piedra de Santiago y de San Andrés -Calo y de la Peña calados-, buscaron o demandaron en nuestros celtas finisterres atlánticos los peregrinos de todo el mundo. Este motivo y no otro pudo haber sido el tema de la bandera histórica de Galicia, no la novísima, ex cupiditate rerum novarum con su raya azul –que nos la creó herética, sine rubra stella, ex novo y en paredría con una habanera, la armada rusa-. Esta concepción y no otra – y las recoge muchas y muy eruditas nuestro J. J. MORALEJO aportando al elenco también las suyas- pudo, pues también nosotros tenemos derecho a equivocarnos, determinar acaso una etimología popular donde el nombre de Galicia se asociaba a un cáliz y a la puesta de sol. Este y no otro es el quid de la cuestión del Santo Grial, si no se me escandaliza San José de Arimatea. Pero, retornando de nuevo al punto de partida, a los Bracaros Calaicos o Brácaros de Callaecia, J. UNTERMANN nos recuerda a este respecto “ya se ha puesto de relieve por otros autores (cita a A.TRANOY, A. TOVAR e COLMENERO) el hecho sorprendente de que el etnónimo Callaeci, a pesar de que en la mayoría aplastante de los testimonios tiene la función de denominar la totalidad de los pueblos indigenas del Noroeste, siendo prácticamente un sinónimo de “habitante de Callaecia”, en Plinio 3,28 aparece como una de las fracciones tribales de los Bracari: praeter ipsos Bracaros se aducen los nombres de los Bibali, Coelerni, Callaeci, Equaesi, Límici, Querquerni. No creo que sea casualidad que estos nombres –con excepción de los Callaeci- coinciden con el elenco de las civitates decem de la columna al lado del puente de Chaves […]. La solución que se impone consiste en borrar la coma entre Coelerni y Gallaeci, suponiendo que el autor añadió Gallaeci para distinguir estos Coelerni de otro grupo homónimo: tal vez haya pensado en los Colarni en la Lusitania central, que menciona en el párrafo 4, 118 de su obra. Anotaciones al estudio de las lenguas prerromanas del Noroeste de la Península Ibérica (1) en Actas do encontro científico en homenaxe a Fermín BOUZA BREY. Santiago, 1992. pp 383.
(7) MELA Choro. III, 28. ESTRABÓN III, 4, 12.
(8) Las primeras sitúan en el NW a los Adovi (Plin. IV, 111); Albiones (Plin. IV, 111); Amaci (Ptolo. II 6, 36); Arroni ou Arrotrebae (Plin. IV, 111); Artabri (Plin. IV, 111, Ptlo. II 6, 22; Strab. 3, 3, 5); Astures (Ptol. II, 6, 28); Baedui (Ptlo. II, 6, 26); Bedun(ien)ses (Ptol. II, 6, 31); Bibali (Plin. III, 28, Ptol. II, 3, 43); Brigaecini (Ptol. II, 6, 30); Cibarcis (Plin.IV, 111); Celtici cognomine Neri (Plin. IV,111); Celtici Supertamarci/ Supertamarici (Mela 3, 11 Plin. IV, 111); Cilini /Celeni/ Helleni (Ptol. II, 6, 25; Plin. 4, 111); Coelerni/Coelerni???, Gallaeci (Ptol. II, 6, 42, Plin. III, 28); Copori/Capori (Plin. IV, 111, Ptol. II, 6, 24); Egivarri Cognomine Namarini, Egurri, Gigurri (Plin. IV, 111; Ptol. II, 6, 38; Ptol. II, 6, 52; Plin. 3,28); Equaesi (Plin. III, 28); Grovii (Ptol: II, 6, 38, Plin. III, 28); Lanciati/Lancienses (Ptol. II, 6, 29, Plin. III, 28); Lapatian(n)ci (Ptol. II, 6, 4); Lemavi (Ptol. II, 6, 25; Plin. III,28); Leuni (Plin. IV, 112); Limici (Ptol. II, 6, 44); Luanci (Ptol. II, 6, 47); Lubaeni (Ptol. II, 6, 48); Luggones (Ptol. II, 6, 33); Narbasi (Ptol. II, 6, 49); Nemetati (Ptol. II, 6, 41); Ornaci (Ptol. II, 6, 32); Paesici (Ptol. II, 6, 5; Plin. III, 28, IV, 111); Quarquerni/Querquerni (Ptol. II, 6, 47; Plin. IV, 111); Saelini (Ptol. 2,6,34); Seurri/Seurbi (Ptol. II, 6, 27; Plin. IV, 112); Superati (Ptol. II, 6, 35); Tiburi (Ptol. II, 6, 37); Turodi (Ptol, II, 6,40);
(9) Las fuentes epigráficas recogen a los: Aebisoci/Aeboso (nci) (CIL. II 2477; IRG IV 74); Ambimogidus (CIL II 2419); Ancondei (CIL II 2520); Bibali (CIL II 2477; 2475 (Biba (l) us); Cabarcus (CIL II 5739); Cileni (C.I.L. II 2649; EE. VIII 132: Cilin(us); IRG 120 Cilenus); Coelerni (CIL II 2477; IRL 29 Coelernae; AF 1972 382: Coelerni); Copori (CIL II 5250=IRPL 34: Princeps Co (porum); CIL II5250= CM León 21, nº 13a: Copori); Equaesi (CIL II 2477=CM Zamora II: Equaesi; IIAE 899: Equaesi; IIAE 1347=ILER 2867: Equaesus); Gigurri (CIL II 2610: Gigurro Calubrigense); Interamici (CIL II 2477; CM León 90: Interamicus; RIVAS FERNÁNDEZ B. Aur., 3, 1971, 79-83 Res Plublica/Int(eramicorum)); Limici (CIL II 434=204 9 (CIL II 827 = 4215: Limico, CIL II 2477: Limici; 2496: Lim/i(c)us; 3034: Lim(i)cus; 5953: Limicus; 4963(1) = 6246(y) =A Port. 28; 1928-9; 213 nº 1 LUZÓN, en Huelva, n. 38 a 63: Limicus; Cm Cáceres 211: Limic(us) 2516: Civitas/Limicorum; IRG IV1: (L) ari (bus) civita(tis/Li) m (icorum)); Ornaci, prob.Val de Ornaci, arciprestado de Valduerna (CIL II 2a633 Tabula hospitalis de Astorga = 2633); Quarquerni (CIL II 2477), Supertamarci = TrastaMara(CIL II 5081); Tamagani (CIL II 2477; IRG IV 66); Trasanci (PENA, Atenea, 1992); Zoelae (CIL II 2633; 2651; 5684).
(10) “A chegada de Martiño de Dumio e a conversión de Teodomiro modificaron as cousas replantexandoas dun tirón (a 569, Concilio Lucense) dende a cúspide da cadea vasalática” creandose dous circunscripcións con sede en Braga, o conventus juridicus Bracarensis e o Conventus Lucensis, e asemade o conventus Asturiensis que pasa a Lugo”.
VIII Ad lucense: Luco civitas cum adjacentia sua, quod tenent comites undecim, una cum Carioca, Sevios et Cavarcos.
VIII Ad Auriense: Letaos, Bival, Palla Auria, Verugio, Bivalos, Teporos, Geurros (=Iutres no L.F.) Pincia, Cassavio, Vereganos Senabria et Calapacios (=Cabazas no L. F.) maiores.
X Ad Astorica: Astorica, Legio, Bergido, Petra Speranti, Comanca (=Colanca no L. F., Ventosa, Mourelle (=Murelle no L.F.) antes da chegada dos mouros confirmando as teses de Isidoro Millán) Superiore et Inferiore, Senimure (=Senure no L.F.), Fraucelos (Fraugellos no L.F.) Pesicos.
XI Ad Iriense: Morracio, Salinense (Saliense no L.F.), Contenos, Celenos, Metacios, Mercia (Mercienses no L.F.), Pestemarcos, Coporos, célticos, Bregantinos (Brecanticos no L.F), Prutencos (Prutenos), Prucios (Plucios no L.F), Besancos (Besaucos no L.F.), Trasancos, Lapatiencos (Lapaciencos) et Arrós.
XII Ad Tudense ecclesias invicino: Tueredo, Tabuleda, Lucoparre, Aureas, Langetude, Carisiano, Marciliana, Turonio, Celesantes, Toruca. Item pagi: Aunone (Dunone no L.F.), Sacria, Erbilione, Cauda, Ovinia, Cartase.”
Según el Cronicón Iriense que a pesar de su tardía redacción se fundamenta en antiguas y fiables fuentes “Miro tomó bajo su dominio a Braga y reunió el Concilio Bracarense segundo, donde acudió Andrés en el año 610. y Miro puso bajo su Sede Iriense las siguientes diócesis a saber: O Morrazo, Salnés, Moraña, Caldas, Montes, Meta, Merza, Tabeirolos, Valga, Louro, Nemancos, Vimianzo, Seaia, Bergantiños, Faro, Escudeiros, Dubra, Montaos, Nendos, Pruzos, Bezoucos, Trasancos, Labacengos e Arros, y otras de las que se tiene mención en los cánones “ [...] et Mirus cepit Bracaram et fecit concilium Bracarensem sedundum, ubi Andreas fuit, in era DCX Et Mirus sedi sue Hiriensi contulit dioceses, scilicet: Morracium,Saliniensem, Moraniam, Celenos, Montes, Metam, Merciam, Tabeyrolos, Velegiam, Hour, pistomarcos, Amaeam, Coronatum, Dormianam, Gentinas, Celticos, Barchalam, Nemarcos, Vimiantum, Selagiam, Bregantinos, Farum, Scutarios, Duuriam, Montanos, Nemitos, Prucios, Bisacos, Trasancos, Lavacencos et Airos, et alias que in canonibus resonat.[…] ” Transcripción e notas de Manuel-Rubén García Alavarez, Memorial Hisatórico Español, (R.A.H.), Tomo L. Madrid. 1963. Cf. A. PENA: Un matrimonio entre a Terra (Treba) e a Deusa Nai (Mater)”; in Anuario Brigantino para 1994, pp. 74-76” A. PENA: 1991 obra citada p. 115-127; 1992 obra citada p. 33-48.
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- (2001): “ESTATUAS DE GUERREIROS GALAICOS CON SAIOS DECORADOS”, in ANUARIO BRIGANTINO 2000 nº24, pp. 39-58
- (2004 2ª firma, en colaboración con Mª Jesús CARRERA ARÓS, 1ª firma): "CONSIDERACIONES SOBRE LA CASA CASTREXA CON BANCO CORRIDO", in ANUARIO BRIGANTINO 2003 nº26, pp. 113-132
-(2005) “Cirimonias Celtas de Entronización Real na Galiza”, in ANUARIO BRIGANTINO 2004 nº 27, pp. 117-160
Y, PARA TERMINAR, creo que la gente de las trebas, y de los teutas, como vivia y se lo pasaba, ocasionalmente muy bien desde la broncínea Grecia homérica hasta la Irlanda de nuestro briugú Buchet…
es nuestra CROUGINTOUDADIGA intención el colgarles CONSIDERACIONES SOBRE LA CASA CASTREXA CON BANCO CORRIDO: [A FESTA RACHADA] SIMBOLOGÍA Y PROTOCOLO EN EL BANQUETE INDOEUROPEO
en el achivo de conocimientos, algo de lo que los gallegos, marqueses del buen vivir, denominamos ‘lecer’, algo de la vida cotidiana en estos territorios políticos autónomos de la Europa desde la Edad del Bronce hasta la Edad Media, pasando claro está por la dominación romana.
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