Autor: ADRIANO LA REGINA difundida por Nova Roma
viernes, 17 de noviembre de 2006
Sección: Historia
Información publicada por: jeromor


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La loba Capitolina no es romana, sino medieval

Grazie alla tecnica di fusione del bronzo è stato
possibile svelare l'origine della famosa opera
Roma, l'inganno della Lupa
è "nata" nel Medioevo
Scultura simbolo della città, si pensava che risalisse al V secolo avanti Cristo.
Ora uno studio ne ha accertato l'età reale
di ADRIANO LA REGINA



La Lupa Capitolina

OPERA d'arte celeberrima, simbolo di Roma e rappresentazione emblematica delle sue origini leggendarie, la Lupa capitolina è da sempre considerata uno dei capolavori dell'antichità. Compare nei manuali di storia dell'arte come oggetto di produzione etrusca.

Già attribuita a Vulca, il grande scultore di Veio chiamato a Roma nel tardo VI secolo per decorare il tempio di Giove capitolino, la Lupa è stata più di recente giudicata opera di un artista veiente della generazione successiva, il quale l'avrebbe plasmata e fusa tra gli anni 480-470 avanti Cristo. È invece noto da tempo che i gemelli sono stati aggiunti nel 1471 o poco dopo quando il bronzo, donato da Sisto IV alla città di Roma, fu trasferito dal Laterano sul Campidoglio.

Ora ci viene dimostrato, con argomenti inoppugnabili, che neanche la Lupa è antica. Per caratteristiche tecniche essa si inserisce infatti coerentemente nella classe della grande scultura bronzea d'epoca medievale, mentre per qualità formali può essere attribuita ad un periodo compreso tra l'età carolingia e quella propria dell'arte romanica.


Nel 1997 il restauro della scultura fu affidato ad Anna Maria Carruba, una storica dell'arte restauratrice che da anni si dedica alla conservazione di bronzi antichi, la quale ha svolto accurate indagini intese anche a determinare la tecnica di fusione. Ne risultò che la scultura era stata fusa a cera persa col metodo diretto effettuato in un solo getto. Questa tecnica si evolve e si raffina in età medievale al punto di consentire la fusione di grandi bronzi, anche per l'esigenza di fondere le campane senza saldature e difetti, onde ottenerne purezza di suoni.

I bronzi d'epoca antica, greci, etruschi e romani, si distinguono da quelli medievali per la fusione in parti separate, poi saldate tra loro. Secondo la tradizione Rhoikos e Theodoros, due scultori greci del VI secolo a. C., "i primi a liquefare il bronzo ed a fondere statue" nelle parole di Pausania, avrebbero trovato il modo di ottenere le fusioni più accurate. La loro innovazione può essere riconosciuta, e questo è un altro importante contributo originale di Anna Maria Carruba, non nell'invenzione della fusione, già nota da tempo per la piccola plastica, ma piuttosto nella scoperta della tecnica della saldatura di parti fuse separatamente mediante l'impiego di altro bronzo come materiale saldante, definita "brasatura forte".

La tecnica adottata dal mondo greco, poi introdotta in Etruria ed a Roma, risulta estremamente più duttile nella costruzione dei volumi e dei sottosquadri, consentendo così di raggiungere risultati di grande ardimento compositivo e superando i limiti di stabilità imposti persino dal marmo, il più nobile dei materiali lapidei. Consente inoltre di ottenere livelli di qualità finissima nel plasmare le superfici, ed assicura infine un beneficio non secondario nel ridurre i rischi di fallimento durante i processi di fusione.

La tecnica medievale di fusione in un solo getto comporta invece l'adozione di forme ben più rigide, meno libere nello spazio, ma con indubbi vantaggi sotto il profilo funzionale, com'è nel caso delle campane; solamente nel Rinascimento si sarebbero raggiunti con l'impiego di questa tecnica, ed è celebre l'esempio del Perseo di Cellini, risultati per qualità paragonabili a quelli che in antico erano stati ottenuti con la fusione in parti separate.

La Lupa capitolina ha occupato una strana posizione nella storia dell'arte. Se si escludono alcuni studiosi dimenticati del XIX secolo, i quali ne avevano intuito l'origine medievale senza tuttavia dimostrarla, il contributo critico che oggi possiamo considerare il più importante tra quelli del Novecento è senz'altro dovuto ad Emanuel Ltwy, che basandosi solamente sull'analisi dei caratteri formali già nel 1934 escludeva la possibilità di attribuire la scultura alla produzione artistica etrusco-italica.

La critica si è però prevalentemente orientata, dapprima con qualche riluttanza e poi più decisamente, verso una sua collocazione nel mondo antico, individuandone la provenienza di volta in volta in ambienti della Magna Grecia, di Roma, dell'Etruria. Nella prima metà del Novecento con Giulio Quirino Giglioli, in un clima di entusiasmo per la scoperta dell'Apollo di Veio e di rampante nazionalismo, la Lupa "minacciosamente pronta a tutelare il popolo che la venerava" fu considerata opera di Vulca.

Maggior consenso è stato riscosso da Friedrich Matz (1951), il quale ha attribuito la scultura al decennio 480-470 avanti Cristo. Questa datazione perdura stranamente anche dopo l'acquisizione dei nuovi dati. Nel 2000, in occasione della sua presentazione dopo il restauro, la Lupa capitolina veniva ancora dichiarata senza alcuna esitazione, nella pubblicazione curata dai Musei Capitolini, il prodotto di una officina veiente degli anni 480-470. E quanto mai singolare che nel caso di un'opera di così ardua e sofferta classificazione siano rimaste inascoltate le indicazioni provenienti dalle indagini sulla tecnica di fusione eseguite durante il restauro.

Anna Maria Carruba ha sottratto un capolavoro all'arte etrusca, restituendolo a quella medievale. Se fosse necessaria una conferma di questo risultato del suo lavoro basterebbe osservare come la storia dell'arte etrusco-italica non risenta in alcun modo della perdita: la Lupa, in quel contesto, ha costituito sempre una presenza "extra ordinem", irrazionale, estranea a qualunque forma di storicizzazione. Non a caso, infatti, a differenza di altri grandi bronzi quali la Chimera e l'Arringatore, essa ha attratto assai poco l'attenzione di coloro che negli anni recenti più si sono dedicati allo studio dell'arte etrusca. D'altra parte, la nuova datazione lascia intravedere ampie prospettive di studio.

Sono ad esempio già più facilmente comprensibili alcuni rapporti di stile quali l'innesto di forme proprie della scultura sassanide del VII-VIII secolo nell'arte romanica.


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Comentarios

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  1. #1 Reuveannabaraecus 20 de nov. 2006

    Lo mismo, lo mismo que dice ahora alguno sobre la Presa de ProsérPina (Mérida). ¡Viva el revisionismo! (Éste, no el otro).

  2. #2 jeromor 24 de nov. 2006

    Parla l'archeologo Carandini: «La Lupa e antica ce lo
    dice Livio»
    Adele Cambria
    23-NOV-2006 L’Unità

    LA FACCIA ARGUTA e un po' allarmata della bronzea Lupa
    Capitolina, sulla copertina dell'ultimo libro curato
    da Andrea Carandini -«La leggenda di Roma», Volume I,
    sottotitolo «Dalla nascita dei gemelli alla fondazione
    della città» (Fondazione Lorenzo Valla / Mondadori
    Editori) - non sembra granché contenta di questo suo
    brusco ringiovanimento; Adriano La Regina, infatti, ha
    autorevolmente spostato la sua data di nascita dal
    sesto o quinto secolo avanti Cristo all'età
    medioevale: «Essa si inserisce coerentemente - ha
    scritto su «La Repubblica» del 17 novembre 2006 -nella
    classe della grande scultura bronzea di epoca
    medioevale». Le motivazioni del convincimento espresso
    dal noto archeologo provengono dalle indagini sulla
    tecnica di fusione della scultura, condotte dalla
    storica dell'arte Anna Maria Carruba, cui nel 1997 fu
    affidato il restauro del simbolo più divulgato della
    città di Roma. La tecnica di fusione del bronzo a cera
    persa, ed in un solo getto, infatti, si sarebbe
    perfezionata soltanto in età medioevale. E tuttavia,
    come lo studioso stesso non trascura di precisare,
    quando nel 2000 fu presentato il restauro dell'opera,
    la relativa pubblicazione curata dai Musei Capitolini
    continuava a datarla al 480-470 avanti Cristo, e ad
    attribuirne la fattura ad una officina di Vejo. (Si
    parla qui soltanto della Lupa intesa come
    raffigurazione dell'animale che avrebbe salvato Romolo
    e Remo dalla morte per fame: invece i due gemelli sono
    opera rinascimentale, attribuita ad Antonio
    Pollaiolo). Chiedo lumi ad Andrea Carandini: che,
    forte di oltre due decenni di scavi condotti sul
    Palatino, (e di un approccio anche storico-letterario,
    alla ricerca archeologica), continua a perseguire la
    tesi della attendibilità del mito della fondazione di
    Roma. «Possibile - gli chiedo - che la Lupa Capitolina
    sia così giovane?». «Sono molto curioso - mi risponde
    pacatamente - ed aspetto di poter leggere quanto la
    restauratrice ha accertato sulle tecniche di fusione
    del bronzo: non mi risulta che le sue indagini siano
    state ancora pubblicate. Posso obiettare, forse, che
    non ci sono i numeri per foimulare una statistica di
    supporto al convincimento che gli scultori
    dell'antichità non conoscessero la tecnica della
    fusione riscontrata nella Lupa: sono così poche le
    sculture in bronzo arrivate fino a noi...». E il
    Professore mi rimanda ai suoi scritti: che
    documentano, anche attraverso i passi-degli storici
    antichi - da Fabio Pittore, a Livio, a Plinto il
    Vecchio, a Plutarco - e splendidamente con i versi dei
    poeti, tra i quali Virgilio ed Ovidio - come il
    mito/leggenda della Lupa abbia avuto, nel corso dei
    secoli precristiani, molteplici materializzazioni
    artistiche ed affabulazioni letterarie diffuse
    nell'area del Mediterraneo, oltre che a Roma.
    «Una Lupa ancora più antica... dalle gonfie
    mammelle... già esisteva ai tempi della Repubblica, in
    qualche luogo di Roma, forse sul Campidoglio: è la
    Lupa Capitolina». Così argomenta Andrea Carandini, a
    pagina 65 del suo libro «Remo e Romolo». Mentre, tra
    le fonti raccolte ne «La leggenda di Roma», cita un
    poetico Livio: «Una lupa assetata deviò il suo
    cammino... al suono del pianto infantile... abbassò le
    mammelle e le porse ai neonati in modo così mite che
    il custode del gregge del re la trovò che leccava con
    la lingua i due pargoli...».
    «Io mi auguro - mi dice ancora l'archeologo, docente
    di Archeologia Classica a La Sapienza - che un bronzo
    sicuramente medioevale venga posto a confronto con la
    Lupa Capitolina. E' vero che essa stessa è un unicum
    nella produzione bronzea dell'antichità, ma lo è anche
    rispetto alla grande scultura bronzea medioevale. Per
    cui riconfermo la mia curiosità e resto in attesa...».
    (fonte: www.patrimoniosos.it) a través de Nova Roma Italia.

    Andrea Carandini es uno de los arqueólogos italianos especializados en la Roma antigua de más prestigio.
    Yo, por mi parte, después de releer el estudio clásico de Jerome CarcoPini, La louve du Capitole, Paris; Les Belles Lettres, 1925, pienso que si nunca se ha dudado de que esa pieza es la que estaba colocada en el Capitolio al final de la República, es porque aquella estatua broncínea recibió el impacto de un rayo el 3 de Diciembre del 63 a.C. y esta pieza tiene en su parte posterior, en una de sus patas una fisura y una masa fundida en lo que parece el resultado de una fuerte corriente eléctrica. Eso es por lo menos lo que aseguraba, en un estudio realizado en 1909 un ingeniero eléctrico llamado Mengarini. Parece por lo tanto que la cuestión sigue abierta.

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